sabato 12 maggio 2007

Racconto notturno di una "poetessa" errante per Verona

Raccolse le sue cose, e lentamente uscì dalla stanza, semibuia nell'alba appena sbocciata. Diede un'ultima occhiata al soggiorno in cui aveva dormito... Marco occupava scomposto il divano letto ad una piazza e mezza, tra i vestiti dispersi come coariandoli sul tappeto. Uscì lentamente, chiudendo piano la porta. Con un sospiro strano scese le scale -sperando che lui si fosse svegliato, sperando che le sarebbe corso dietro, che l'avrebbe costretta a voltarsi e restare, sperando...- e si inoltrò nel silenzio irreale della mattina fredda.
Andò all'università svogliata, studiò disegnando cerchi malfermi agli angoli dei fogli, e mangiò in silenzio, evitando accuratamente che la spensierata esistenza dei compagni le si attaccasse ai vestiti. Aveva bisogno di pensare un pò. Che era successo? Ricordava il Lambrusco a cena, ricordava le risate e la malizia ostentata -per non averne paura-, ricordava il poker e le poste sempre più assurde -una scarpa, un bacio, il suo reggiseno, poi che altro...?-, e ricordava Marco. Così a suo agio tra le parole degli amici, così solare nei modi scuri, e con una luce solo sua negli occhi celesti, che le faceva girare la testa al pensiero. Non lo aveva mai guardato veramente. Gli era passato accanto, lo aveva abbracciato, magari ci aveva scehrzato con quel suo modo pesante e goffo di far battute, ma non lo aveva mai guardato davvero. Ma quella sera, nell'ebbrezza del vino e del vento, vide che nell'aria c'erano novità.

Del resto non ricordava quasi niente. Qualcosina, vaga, il suo profumo, i loro corpi, la malinconica certezza di aver rovinato tutto... o di aver colto l'unica cosa che si poteva cogliere. Alla fine, era stata bene. Sì, senza futuro, e sì, senza altro che una notte a passarle fra le dita e ricordarle anni di buio in cui aveva sperato di non essere più sola, almeno per un pò. Per una volta, era stata in due. Non ne ricordava i dettagli -tutto era sepolto da una polverosa gradazione di viola-, ma era certa di avergli preso la mano, durante la notte, di aver incrociato le loro dita, e di essersi sentita parte di qualcosa.

La sera trangugiò quattro bicchierini di Anima Nera, e si contrinse ad uscire con amici. Niente di serio, in verità, solo un'occasione per rendersi conto che nessuno, tranne lei, si era massacrata la giornata in pensieri senza uscita. La nottata trascorsa brillava negli occhi dei ragazzi come un segreto sorridente, gioioso, coccolato e viziato, a cui brindare un decennio più in là, all'addio al celibato di qualcuno. Tra gli altri, vide Marco avvicinarsi e stamparle solare un bacio sulla guancia rossa. Dopo una pizza ed un paio di birre, oltre la vista doppia ed i sensi annebbiati, Laura aveva guadagnato una sensazione di pace che aveva cercato dalla mattina: riusciva a non pensare a nulla, finalmente. Riusciva a chiudere gli occhi e ridere amaro, ridere quasi piangendo, ma ridere lo stesso.


La riportarono a casa che non riusciva a camminare, e che, suo malgrado, stava cominciando a riprendere lucidità. Marco la mise a letto, e le baciò lieve la fronte, sorridendo.
Nel dormiveglia, o nel primo sonno ubriaco, immaginò di sentire qualcuno parlare.
Immaginò una mano intrecciata alla sua... quasi involontariamente strinse le dita, ed abbracciò fumo.



Che schifezza ragazzi!! Brrr... vabbè, è tardi e son anni che non scrivo più. Lo so, lo so, non è una giustificazione... pazienza, avevo voglia di scriverlo, è andata così.
Un bacio... notte notte!
Spooky




 

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