sabato 29 marzo 2008

Actor... doctor.

Insomma, io stavo andando a letto. Passo solo per spegner il pc. Già che ci sono controllo la posta, che aspetto una mail dal mio professore. E già che ci sono, vado a dare un'utlima controllatina al blog, sia mai che qualcuno avesse commentato. Ah, è passata mezzanotte. Vado a controllare Eriadan. Lo so che il week-end non posta più... ma io non posso fare a meno di controllare lo stesso. Per precauzione, ecco. E già che sono qui, do un'ultima occhiata ai miei link, volesse mai che qualcuno abbia postato...


Così leggo un blog, uno di quelli che seguo. Mi vengono in mente delle parole che mi sembrano vecchie di secoli. Fanno più o meno così. Lei non era nel mondo, ed il mondo non era per lei. Mi viene in mente qualcosa di dimenticato. Quanto ti ho amato e quanto t'amo non lo sai, e non lo sai perchè non te l'ho detto mai.
Vengo sommersa, quasi senza accorgermene, da una valanga di me passate. Una valanga.
C'è la Valeria dell'università di Roma, con le lenti a contatto, la coda di cavallo, e due ciuffi lunghi, neri e ricci come non mai ad incorniciarle il viso, che si specchia in una vetrata della facoltà. Me la ricordo, quella Valeria lì, che si specchiò, e vide che in fondo non era poi così male. Che aveva i suoi pregi ed i suoi difetti, in fondo, che poteva essere passabile. Con quel suo viso da bambina poi...
C'è la Valeria del primo liceo. Piccola, troppo, troppo piccola. Che scopriva l'amicizia, e si rendeva conto di quanto potesse essere bella, esclusiva e bellissima, quasi come la madre, ancora totem.
C'è la Valeria di Verona 2007/2008, che beve alle feste per dimenticare qualcosa che non ricorda più, ma che sente di doversi lasciare alle spalle, che ride, non si sa mai se amaramente o meno, che a volte piange, e si sente sola, ma a volte sorride, e sente che tutto può sistemarsi.
C'è la Valeria dell'ultimo anno di liceo. Libera, forte, decisa e determinata. Rabbiosa, ed illusa, di aver capito tutto, di essere grande, di essere invincibile. Sempre col suo viso da bambina, ovviamente.
C'è la Valeria di Truman. C'è la Valeria che non c'era, e che cercava il modo per affogare nell'abisso, il modo per non svegliarsi più dall'incubo.
C'è la Valeria di dieci minuti fa, che -spaventata al pensiero di una foto- s'è detta che non c'è bisogno di provare ad essere forte... che forse può continuare a sgattaiolare via, tanto non è che la vita si ricordi sempre tutti i crediti che ha sparsi per il mondo.
C'è la Valeria di Roma/Verona 2006/2007... la più confusa, la più sfrenata, la più incontrollata, e probabilmente la più felice.


In tutta la confusione abbissale di queste me resuscitate dal cassetto della memoria, ritrovo la sensazione di solitudine inspiegabile che mi accompagna dal 1998. Ho cominciato a pensare, quando sono cresciuta un pò, che fossi davvero una grande egocentrica. Cioè, l'adolescenza l'hanno passata tutti, ed ognuno nel suo piccolo ha vissuto i drammi tipici di quell'età. Ma pensare di conservarne indelebile la dolorosa presenza, allora come adesso, mi è sempre sembrata un'illogica presunzione. La megalomania di una scrittrice che non scrive, che poi è il personaggio di ogni mia storia, è la rappresentazione più vera di quello che sono.
Ma stasera ho trovato un'altra anima solitaria. Un'aliena, come me. No, mi spiego meglio. Un'aliena diversa da me. Il che vuol dire, forse, che siamo un pò tutti megalomani pazzi. E che il tentativo disumano di spiegarsi, di distendere le proprie emozioni per rendere partecipi le persone a cui vogliamo bene dei nostri pensieri è... inutile. Quantomeno inutile, se non totalmente privo di fondamento.
E' senza senso che io provi a spiegarvi come mi sento, in quei momenti lì. Che non è come mi sento adesso, ma è come mi sentivo venti minuti fa, quando ho ascoltato Vittorio cantare Quanto t'ho amato. E non era dolore per Truman, come potete immaginare, o per Cat, come alcuni di voi potrebbero vagamente intuire. E' semplice ricordo.


Ricordo di tutto ciò che m'è passato nel cuore, e non è riuscito ad uscire dall'altra parte. Come una montagna di pallottole che hanno trovato il foro d'entrata, ma non quello d'uscita. E che di tanto in tanto mi rendono faticoso il viaggio.
Non sto male. E sì, ho la mente devastata dal solito, nauseante uragano Truman, ma oramai, a queste tempeste, sono così abituata che non mi fanno nè caldo nè freddo. Truman è una fotografia sbiadita che guardo con rancore e disprezzo di me: finchè non sarò in grado di perdonarmi, vederlo o meno non conterà nulla. Dicevo. Non sto male. Ma mi spezza, nel senso letterale del termine, il pensiero di quanto io sia in grado di soffrire. E l'idea che nella vita dovrò affrontare brutti momenti, crisi, problemi, insomma, l'idea di dover vivere mi terrorizza, se accanto alle gioie, dovrò, di nuovo, provare quel dolore lì. Anzi, probabilmente un dolore maggiore. Forse Truman è solo questo. Forse tutta la storia allucinogena che la mia mente ha creato con lui è solo... solo la misurazione esatta del mio limite, del mio punto di non ritorno. A soffrire più di così, io, impazzisco.


Non so se ha aiutato, di certo ha confortato me. Spero ti abbia quantomeno fatto compagnia, Deb. Un bacio,
Spooky


 

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