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giovedì 8 ottobre 2009

Once upon a time...

...c'era una principessa, senza castello e senza lunghi capelli biondi. Una principessa moderna, come Fiona, per dire la prima che mi viene in mente. Ecco, sì, un tipo come Fiona (quella di Shrek, per chi non lo sapesse).
E sognava, da che la memoria la sosteva, il suo principe azzurro. Non proprio azzurro, diciamo anche grigio. Sì, sul grigio andava bene. Ma insomma, il suo principe. E lì, in quella stanza fredda, aspettava ed aspettava. Ne erano passati di principi... ma il suo no.
Nel mentre, tanto per ammazzare il tempo, sognava. Sì, sola nella stanza, e senza internet, doveva pur inventarsi qualcosa per tirare avanti. Così sognava.

Fece un sogno bellissimo.
C'era una lunga strada lastricata, di un perlaceo ambrato, ricamata da ammoniti. Impreziosita dalle luci del crepuscolo e dei lampioni appena accesi camminavano tranquilli vecchi amici, petali rossi della sua quotidianità. Li vedeva di fronte a lei, esili senza essere fragili, muoversi sinuosi tra le luci e la brezza, accoccolati in una conversazione che non riusciva ad ascoltare.
E poi c'era lei. Al suo fianco, banalmente, camminava il suo principe, senza volto nè statura. Sapeva solo che era lì, al suo fianco, come un'ovvietà storica. Scontato come solo le cose importanti sanno essere. Parlavano anche loro, di tutto e di niente, a ritmi lenti e cadenzati. Lui le fece un complimento, e la strinse a sè in un abbraccio caldo. Senza possesso, nè timore.
Si fotografò dall'esterno, e vide la scena che da sempre avrebbe voluto vedere: lei e lui, la sua Coscienza ed il suo Amore. Quattro scintille, offuscate dal tumulto del mondo eppure vive, vitali, brillanti come non mai.
Rise. Di una risata chiara e squillante, lieve ma prepotentemente presente.
Due labbra. Il ruvido di una guancia, il calore di occhi troppo chiari, pelle a contatto, complicità.
E pur essendo solo un sogno, le regalò la serenità più completa che sapeva avrebbe trovato lì, in quella stanza, nel suo non-castello.
E chi lo ha detto poi, che sia stato solo un sogno?...


Tutto il resto, è vita reale.
Spooky



sabato 20 giugno 2009

Dovrei depositarla alla SIAE...

...questa è la prima canzone che io abbia mai portato a termine, compresa di accordi, ritornello, ed un sound da nenia pop di cui vado anche un pò fiera, in effetti.


Pensieri fragili

Se tu m'avessi detto basta
se tu m'avessi detto no
avrei capito, forse imparato
quello che tra noi non ci sarà.
E invece dopo ogni incontro
tu mi dicevi "resta qui"
un'altra birra, un'altro sguardo
per immaginar ciò che non c'è.

Pensieri fragili, contro la tempesta
pensieri fragili, io e te,
pensieri fragili, sento il cuore in tempesta,
pensieri fragili, senza di te.

Una battuta divertente
forse m'hai preso un pò così
sorrisi futili, li rimpiango ogni ora,
che mi han portata fino a qui.
Un'emozione un pò ridicola
quella che ormai mi lega a te
senza barriere, senza più voce
sono innamorata di te.

Pensieri fragili, contro la tempesta
pensieri fragili, io e te,
pensieri fragili, sento il cuore in tempesta,
pensieri fragili, senza di te.

Pensieri fragili, contro la tempesta
pensieri fragili, io e te,
pensieri fragili, sento il cuore in tempesta,
pensieri fragili, senza di te.

Strappami l'anima...
strappami l'anima...

Pensieri fragili, contro la tempesta
pensieri fragili, io e te,
pensieri fragili, sento il cuore in tempesta,
pensieri fragili, resta con me.

Spooky


martedì 11 novembre 2008

Uomini






Si guardò attorno, con gli occhi cerchiati di un’allarmante luminescenza viola, mettendo a fuoco le creature che aveva di fronte. Si sentiva sbronza ed assetata, ma stranamente lucida, per quanto non credeva di essere in grado di parlare.


I contorni le apparivano labili e sfumati, ma riusciva quasi con più definizione del solito a focalizzare i tipi umani che le gravitavano attorno. La musica era assordante, e se non poteva essere certa di quanto avesse bevuto, una parte dimenticata della sua mente le urlava a chiare lettere di essere stata pesantemente drogata. Eppure non si sentiva in pericolo, anzi. Era convinta di avere una più chiara visione delle cose in quel momento che negli ultimi mesi della sua vita.


Antonio. Le rimaneva sulla sinistra, immerso in una conversazione con due o tre ragazze –distingueva poco gli individui, ma non avrebbe confuso lui con nessun altro al mondo- e sorrideva. Era un ragazzo da manuale, quasi. Interessante, intrigante, spontaneo, con una buona dose di arroganza ed una di presunzione, ma senza arrivare a fastidiosi eccessi. Poteva avere chiunque lui volesse. O quasi. Diciamo che aveva scarse, scarsissime probabilità di essere respinto da qualsiasi donna lui avesse scelto di adescare. Elettra aveva avuto occasione di essere una tra le tante, ed aveva avuto occasione di dire di no, ma non le era sembrato il caso di usufruire di questa possibilità. Aveva anche realizzato che era possibile, in linea del tutto teorica, resistere alle avance di Antonio, ma nel suo caso non ne era stata capace, e non se ne pentiva neanche un po’. Era decisamente fantastico, sotto quel punto di vista. Probabilmente il migliore.


Mirko. Se ad Antonio bastava un’occhiata per farti cedere, Mirko decisamente lavorava d’insistenza. Sfiancava la resistenza femminile a poco a poco, intessendo una rada ma tenace rete fatta di frasi, di supporto, di appoggio, si amicizia sfilacciata. Ed una volta indebolite almeno superficialmente le difese dell’avversario, colpiva. Non lo faceva con cattiveria, o malizia: semplicemente era un’animale geneticamente costruito in quel mondo, e rispondeva agli impulsi che lo mantenevano in vita. Era un interessante esperimento scientifico, ma da lasciarsi allo stadio di pura analisi statistica. Non aveva né lo charme di Antonio, né i pregi degli altri. Era troppo vorace e rude, subdolo, strisciante, per essere realmente apprezzato. Elettra sapeva nel profondo di non avere di fronte –due sgabelli più in là del suo, a cui restava aggrappata con tutte le sue forze per non crollare a terra- una persona cattiva, ma solo cresciuta malamente, in mezzo ad una giungla di personaggi molto migliori di lui. Si era adattato ad avere la sua parte, il suo ruolo di caratterista di second’ordine, e di prendere quello che veniva. E lei –si sforzò di essere sincera almeno con sé stessa- per molto tempo di era sentita niente più che merce avariata.


Edoardo. Difficile da classificare senza banalizzarlo. Il classico, il più classico dei classici amici. Quello a cui si domanda se l’amico è fidanzato. Quello che non si degna di più di uno sguardo, che non sarebbe neanche brutto, anzi, tutt’altro, ma per carità, al mondo c’è decisamente di meglio. Avrebbe potuto ottenere molto di più di quello a cui aspirava. Ma la vita è cattiva a volte, e non ci concede tregue per le nostre aspirazioni. Così si era ridotto a fare da comprimario, dolce, sensibile, presente, un po’ giullare un po’ compagno, un po’ re un po’ comparsa, un po’ conforto, un po’ rimpianto. Sorrideva dietro al suo analcolico, vicino agli altri. Possibile che nessuno si accorgesse che Elettra riuscita a stento a restare seduta? Da lì a poco il suo sguardo sarebbe caduto su di lei, e sarebbe andato ad aiutarla. Perché era quello il suo ruolo, quello il modo in cui era stato progettato. Se solo avesse saputo, capito, intuito. Se solo gli avessero raccontato che ogni “buon amico” ha di norma una “buona amica” che gli correrebbe dietro tutta la vita. Queste cose non le dicono mai, nelle favole? Sancho Panza non può trovarsi la scudiera di Dulcinea da portarsi a letto? E Alfred non potrebbe, per dire, trovare la sua compagna ideale nella cameriera di Joker, o di Doppia Faccia?


Matteo. Si sforzò di metterlo di nuovo a fuoco, perché tutto le si stava sfumando negli occhi. Sì, lui era un mistero. Ok, la sua ironia era inesistente, ed il suo savoir fare quello di un neonato, ma era un gran bel tipo. Di quelli che segui con lo sguardo una volta che ti hanno superato sul marciapiede. Di quelli che sembrano tutto muscoli e niente cervello –e sì che ce ne sono, di donne che cadono dietro a tipi del genere- ma che in realtà era forse più intelligente di tutti loro messi assieme. Aveva semplicemente capito come girava il mondo, e si era adeguato, ma solo esternamente. In realtà, era una persona acuta e brillante. Poco spiritosa, ecco, dai riflessi leggermente addormentati, ma non per questo stupida. Eppure non si vedeva accanto a lui l’ombra di una donna. Che ingiustizia! Se solo avesse potuto alzarsi, sarebbe andata a dargli un bacio. Così, per dimostrargli che c’è sempre qualcuno a cui possiamo piacere. Anche se Elettra, che era cresciuta assieme a lui, sapeva perfettamente di non essere affatto il suo tipo. Al solito! Elettra non era il tipo di nessuno, o quasi.


Giuseppe. Timido. La prima parola che le viene in mente, pensando al ragazzo che parla in fondo alla sala, con una smorfia che sa essere un sorriso. Dolce. Altruista. Interessante, ed anche un filino noioso. Un buon tipo, ma troppo impegnato ad impegnarsi per poter pensare di impegnarsi con una ragazza. Pazienza.


Ma perché Elettra continuava a pensare? La droga non avrebbe dovuto inibirle tutto, anche i pensieri, oltre che i movimenti? Si sentiva stanca, ma allo stesso tempo eccitata. Cosa diavolo le avevano dato? E chi?


Quando fece per alzarsi, due mani la sorressero e le cinsero i fianchi.


“Sei ubriaca” si sentì dire, tra l’ironia ed il biasimo. Non sembrava riconoscere quella voce. Luca? Mario? Francesco? Non riusciva a parlare. Vide sé stessa muoversi, totalmente priva di peso, avvertì l’aria sul viso, le palpebre pesanti, i muscoli tentare inutilmente di contrarsi.


Poi un viso senza contorni si avvicinò al suo, e senza saperlo, capì.


 


Spooky


 


 



giovedì 12 giugno 2008

Sogno n. 4

Non aveva idea di come fosse arrivata lì. Le sembrava quasi di esserci sempre stata...
Forse era venuta in autobus. Magari... magari in macchina. Sì, probabilmente. E probabilmente aveva bevuto, per non ricordare come fosse finita da quelle parti. Che poi... da quelle parti... dove?
Era seduta su un divano, con le ginocchia ripiegate e cinte dalle braccia. Sapeva di non essere in pericolo, sapeva che la situazione le era alquanto familiare. Un brusio indistinto circolava lieve attorno a lei, menter i jeans stretti le comprimevano la pancia, costringendola a respiri brevi e veloci.
Si guardò distrattamente intorno, sperando di riconoscere qualcosa. Il divano su cui era accocolata era rosso, in pelle, molto bello. Si sarebbe potuto dire stonasse, visto che di certo si trovavano all'aperto, invece era magnifico. Un piccolo gazebo elegante si ergeva attorno a loro, adornato con graziosi nastri e perline sparse ovunque. Forse erano nella sala esterna di un pub, o di una discoteca costosa. C'era un tavolo basso davanti a lei, stracolmo di bicchieri: alcuni vuoti, ma la maggioranza riempiti per metà di liquido rosso.
Non erano in un pub. Marlene non avrebbe mai bevuto vino in un pub. Non che non le piacesse, ma preferiva la birra, o i long drink, quando era con amici.
C'era solo un posto in cui avrebbe bevuto vino, e ne avrebbe bevuto di rosso.
A casa sua.
Improvvisamente, come se i suoi sensi si fossero appena allineati con la realtà, riconobbe la casa di Antonio. Come aveva fatto a chiedersi dove fosse? Probabilmente era notte fonda, e lei aveva bevuto decisamente più di quanto doveva. Eppure non le girava la testa, non si sentiva ubrica, ed il bicchiere che ricordò come suo era ancora quasi del tutto pieno.
Piano piano -o più probabilmente in una frazione di secondo che le si era diltata per anni nei pensieri- prese coscienza di chi aveva vicino. Alla sua destra, sulla prosecuzione del divano ad L su cui sedeva, si trovava Anna, che chiacchierava amabilmente di qualcosa che Marlene non riusciva ancora ad afferrare. Sulla sinistra, aveva un amico, o un'amica... non le era chiaro, e non sentiva importante voltarsi per scoprirlo. Accanto ad Anna, uno dei suoi conoscenti più fidati, Massimo.
Di che si parlava?
Faceva leggermente freddo, e la ragazza aveva una camiciola a fiori grossi e variopinti, quasi del tutto trasparente, a maniche corte. Si passò la mano sinistra sul freddo braccio destro, restando incantata a fissare una piega del divano sotto il peso di Anna. Cercò di focalizzare la sua attenzione.
"...no, ma dai, non ci credo..."
"...sì, giuro! Non ci credi, ma è successo!"
Il primo a parlare era stato Massimo. Conosceva anche la seconda voce, però. Era quella di Antonio. Squillante, eppure bruna, con una sorta di vaga presa in giro nel tono, o nel modo.
"...no, davvero, io non ci riuscirei. Cioè, ok, ma una donna che va con una donna... no, non ce la farei, a starci insieme!"
"Sempre ingenuo... non parlavo mica di starci insieme..."
"Inutile, non cambi mai!"
"Che vuoi?... Ognuno ha i suoi vizi... ed ognuno si diverte come può... e poi, provare per credere, amico..."
Poi era successa una cosa strana. Mentre in un attimo Marlene ripercorreva un'altra serata, un altro divano, un altro momento ed un'altra vita, capì che, seduto un posto più in là alla sua sinistra, c'era Antonio. Lo capì perchè scavalcò l'ostacolo, e sorridendo, muovendosi quasi al rallentatore, si mise cavalcioni su di lei.
Non... non poteva crederci. C'era gente. E le cose erano cambiate. Era impazzito?
Sempre sorridendo, si avvicintò all'orecchio della ragazza, ed il suo respiro le diede i brividi. Scivolò lento come un giaguaro lungo il suo viso, per poi sfiorarle le labbra secche.
Non era stato un vero e proprio bacio: più un contatto, la frazione di secondo bloccata da una fotografia. Socchiuse le labbra, e di nuovo si chinò su di lei, senza mai darle la reale impressione di baciarla, quasi invece lasciandola nel limbo tra il desiderio e la coscienza.
Attorno a lei, lo sentiva, era calato il silenzio della possessione. Nessuno si curava più di loro, nessuno aveva più voglia di integrarli nella conversazione. Non erano stati allontanati per imbarazzo, o riservatezza, si erano eclissati in una dimensione che gli altri non avevano interesse a vedere. Totale indifferenza, normalità.
E Marlene, che si era fatta così tanti problemi a tenere le cose nascoste per bene, quando... Immagini furtive le attraversarono gli occhi. Non sarebbe mai riuscita dimenticarlo: l'attrazione, l'eccitazione, l'elettricità, e ancora il senso di colpa, l'errore, la sensazione di qualcosa di sbagliato che stava accadendo. Eppure, allora, era successo. Se ne era pentita così amaramente... avrebbe voluto rimuoverlo da ogni cellula di sè, ma restava lì, indelebile, come una macchia, come il sangue, come la passione. Ed ora...
Nell'attimo in cui per l'ennesima volta le labbra di Antonio si allontanarono piano da quelle di Marlene, lei riuscì a pensare. La consapevolezza di trovarsi in un luogo al di là della ragione le arrivò pungente sul viso, accompagnata da un nome: Mario. Le cose erano cambiate, da quando Antonio aveva violato i suoi principi e le aveva fatto dimenticare chi fosse con le sue mani, il suo calore. Ora c'era Mario. E non era un'invenzione, non era un'ideale: viveva, respirava, la amava, ed aveva baciato quelle labbra -baciato, non mangiato- solo poche ore prima.
Antonio, come se avesse capito che il suo ruolo era compiuto, si volatilizzò. Riprese il suo posto sul divano, e vennero nuovamente intesi, e nuovamente capirono ciò che li circondava. Marlene respirava a fatica, tentando di controllare i battiti del cuore e di dare un senso alla scena.
Alla sua destra però, Anna la fissava, giudicandola in silenzio.
Non servivano parole per capire il suo sguardo: rabbia, risentimento, rancore, disgusto. Quando lasciarono l'attico di Antonio, quella notte, Anna fece in modo di trovarsi sola in ascensore con Marlene.
"Complimenti"
"Scusa?..."
"Come se non sapessi di che sto parlando. E' lui, quello di cui mi parlavi. L'errore, lo sbaglio madornale dell'anno scorso. Complimenti"
"Ma..."
"Mi fai schifo. Tra tanti. Non solo uno che conosco, perchè non è questo il punto... ma lui. Lui no, cazzo! Lo sanno tutti, com'è fatto... come si può cadere così in basso?... Come si può starci, sapendo che... cazzo, davvero, mi fai schifo"
Marlene rimase inebetita, e dolorante.
E svegliandosi da quel sogno che sembrava vero si rese conto che la realtà era l'unica illusione.

Spooky

martedì 15 aprile 2008

Passaggi

Mettersi a letto. Leggere. Fermarsi, guardare il soffitto ad occhi chiusi. Piangere. Sussurrarsi parole di conforto, accarezzarsi la testa -come se qualcuno fosse lì a farlo, come se fosse lui a farlo-, smettere, e riprendere, tra i singhiozzi. Addormentarsi e sognare.


Un treno, un aereo, magari un autobus. Gente conosciuta. Il ricordo di due serate, entrambe belle. La consapevolezza che ci sia qualcosa di sbagliato nel contenuto di esse. Trovarsi a pensare.
Prima sera. Una cena, forse una casa disponibile, comunque un letto, le mie labbra sulle sue. La protezione, il calore, la bellezza fisica del contatto, senza far l'amore. Cambio di scena, un letto, una risata, il telefono all'orecchio. Chiedere il permesso di uscire. Con un altro. Con un amico. Accordato.
Seconda sera. Anche qui, ricordo poco. Qualche chiacchiera, forse, comunque un letto. E senza accorgemene, un bacio, due, tre. Senza rimorso, senza coscienza.
Torno sull'autobus. Le mie amiche chiedono con chi voglio stare. No, diverso: le mie amiche chiedono come io mi sia accorta che mi piace il ragazzo della seconda sera e non della prima. Non ci sono drammi, non ci sono incertezze. Dico loro che si sbagliano, che non è tutto così semplice. Ci sono persone che sbarrano gli occhi, persone che si arrabbiano con me. Non le ascolto. Sono preda di me stessa.
Il primo ragazzo, è il mio ragazzo. E' Riccardo. E' a Roma, ed io -ne ho la consapevolezza mentre formulo il pensiero- sto tornando a Verona.
Il secondo ragazzo non so come si chiami. Potrei chiamarlo Lorenzo, perchè è Luca Argentero, e l'unico film con lui che ho visto di recente è Saturno Contro, in cui impersona un tale Lorenzo, appunto. Ma lo conosco, lì, non è famoso, e sta tornando a Verona con me. Improvvisamente, me lo ritrovo seduto davanti, in lacrime. Ha sentito tutto: anche per lui, le cose erano diverse, scontate. Io penso che mi piace, questo Lorenzo. Penso che in fondo, è da poco che sto con Riccardo, che non gli farò molto male lasciandolo. Che quella che ho davanti -letteralmente- è una storia vera, e che i rapporti a distanza non valgono nulla, sono eterei giochi di fumo. Che potrei vederlo ogni giorno, ogni due, potrei bearmi dei suoi abbracci, e tranquillizzare le mie paure fra le sue mani. Mi dico che devo chiamare Riccardo, e dirgli che ho baciato un altro. Mi rimbombano nella testa le sue parole. Se mi lasci, poi non ti aspettare che ti riprenda. Non facilmente, almeno. Tremo. E se lo ferissi? Se capissi che mi sto sbagliando? Se rinunciassi ad una cosa bella, bellissima, per niente? E poi, da quando quattro mesi sono pochi? Mi torna in mente quando, pochi giorni fa, mi sono detta che quattro mesi sono due in meno di sei, che è mezzo anno. E' tanto. Comincia ad essere tanto. E Riccardo è speciale, è unico, è premuroso, è dolce. Di questo Lorenzo mi sembra di non conoscere niente. E che me ne faccio di una storia a Verona, se non è la storia giusta per me? Che me ne faccio di tale Lorenzo, di cui adesso non mi torna in mente nient'altro che un sorriso sfuggente e delle labbra sottili?... Mi dico che sono stata un'idiota, solo a pensare di lasciare Riccardo. Che dovrò dirgli, comunque, dei baci con Lorenzo. Che dovrò sottopormi al suo giudizio, e sperare che mi perdoni. Spero lo farà. Non saprei che fare senza di lui. E' distante, ma è mio. E so che è la storia giusta. Mi perdonerà? Devo solo aver coraggio. Solo aver coraggio.


Mi sveglio, ho staccato tra gli sbadigli la sveglia, e mi sono rimessa a sonnecchiare. Fortuna che non ho dormito molto, rischiavo quasi di perdere il treno. Mi alzo, mi vesto, senza fare colazione preparo la valigia. Mentre sistemo le ultime faccende sul pc, passo sul blog di Riccardo, magari ha scritto qualcosa. Leggo. Piango. Piango un altro pò. Mi torna in mente un sogno. Vado sul mio blog a scriverlo.


Mi... sento un pò a pezzi. Mi sento stravolta, e nel panico. Sarà un brutto mese, lo so. C'è la luce in fondo al tunnel?... Mah. Non la vedo. Eppure dovrò sforzarmi di vederla, di recepirla, di tirarmi su le maniche e fare quel che devo. Ce la farò? Devo solo aver coraggio. Solo aver coraggio...


Spooky


 

martedì 1 aprile 2008

Martedì 01/04/08

Caro diario,
sono uscita con lui. Ho aperto la porta di casa e l'ho visto. Non immagini: bellissimo! Sembrava uscito da un film. S'è pure messo il gel, con i capelli all'indietro, come piace a me. Insomma, siamo usciti, siamo stati bene. Abbiamo parlato un pò di tutto, e ci siamo trovati a ridere per delle scemenze. Erano secoli che non mi divertivo così. Poi mi ha accompagnata a casa, e siamo rimasti in macchina per un pò, a chiacchierare... vabbè, anche a far altro. Cioè... uscire con gli altri non è come farlo con lui. Non avevo mai provato un'attrazione così forte... e lo sai, non è il primo e non sarà neanche l'ultimo. Non lo so, non capisco. Quando mi guarda, quando mi accarezza... sembra quasi che non debba esistere più nessun altro, nè per me, nè soprattutto per lui. Non mi sono accorta del tempo che passava, non mi sono accorta del tizio del quarto piano che rientrava a casa e sbirciava curioso nella macchina mentre ero sopra di lui. Non mi sono resa conto di nulla, semplicemente c'eravamo noi.
Dici che si può pensare di essere innamorati, dopo solo un'incontro?
Lui dice di sì. Vabbè, per lui è tutta un'altra storia. Mi viene dietro da sempre, sono io che non me lo sono mai filato. Troppo piccolo, troppo immaturo, troppo ragazzino, troppo brutto anche. Poi vabbè, ci siamo persi e ritrovati fuori dal liceo, così' tante volte che quasi non me le ricordo... anche perchè era proprio l'ultimo dei miei pensieri. E poi, vuoi la tristezza, vuoi che ho visto troppi film, quest'uscita mi sembrava di dovergliela da una vita. E sai che ti dico? Mi sono trovata bene. Mi sono divertita, ed a fine serata... speravo proprio mi baciasse. Mi sono dovuta ricredere sul suo conto, in effetti.
Neanche con Mirko è stato così. E sembrava che dovesse essere l'uomo della mia vita! Di TUTTA la mia vita! Ma come mi bacia Daniel... mi fa sentire speciale. In ogni abbraccio lo sentivo vibrare di desiderio, e non era soddisfazione di un istinto, cerca di capirmi. Lo sai com'è andata l'estate scorsa... so che vuol dire stare con una persona per noia, o per il troppo dolore. Lui no. Sembrava che avesse aspettato tutta la vita per quello. Per toccarmi, accarezzarmi, stare con me. Sempre dolce, sempre calmo, sempre paziente, lento, metodico. Poi ad un certo punto è impazzito. Non so che ho fatto, penso stessi giocando, mi sono allontanata un pò, che si capisse che era tutto ok, ma che volevo tirare un pò la corda. Lui ha resistito qualche manciata di secondi, poi mi è letteralmente saltato addosso. Di una violenza primordiale e bella, capiscimi. Non c'era niente di doloroso, niente di cattivo, o di brutale. C'era che non ne poteva più, che doveva baciarmi o sarebbe esploso, che doveva accarezzarmi, "contenermi" tutta tra le sue braccia. Mentre mi spingeva la testa contro le sue labbra, ed allo stesso tempo coccolava i miei capelli con le dita, ho capito che forse potrei essere innamorata di lui. Così, al primo incontro! Lo so, sembro totalmente uscita di senno. Magari è vero. Magari mi ha fatto qualcosa, che so, una magia.
Passato il momento, s'è messo a fissare il nero della macchina, accarezzandomi piano la schiena. Ero seduta sopra di lui, la testa sul petto. Ho sentito il suo cuore piano piano calmarsi... lui è rimasto in silenzio per dieci minuti buoni. Mi stavo preoccupando, così alla fine l'ho stretto un pò e gli ho chiesto se fosse tutto ok. "Certo", ha risposto. Come se fosse la cosa più naturale del mondo. Come se, dopo avermi dimostrato che mi vuole, senza però prendermi, per lui andasse tutto a gonfie vele. Niente sveltine di pochi minuti, niente scuse per riportarmi a casa e volare verso la prossima avventura sbagliata.
Mi sono sentita così confusa... mi ci sento ancora.
Ma sto bene, e sono contenta così. Almeno mi sembra...
S.